Poco più di dieci mesi dopo l’Eccidio del cimitero – il 5 marzo 1945, quando due ragazzi del posto, Olinto Cigarini e Alberto Branchetti, vennero fucilati da una squadra della Brigata nera – Villa Bagno visse una seconda tragedia destinata a rimanere della memoria del luogo e delle persone: la Notte dei leoni.
Il 29 novembre 1945 un treno, inviato per errore su un binario bombardato, deragliò vicino all’abitato di Villa Bagno provocando la fuga dei leoni di un circo e l’uccisione di quattro persone. Tra esse due contadini del luogo, Luigi Cigarini ed Ettore Degani.
La Notte dei leoni, dopo quasi 80 anni, è diventata un murale – Memorie ruggenti -promosso dalla associazione di volontariato I CARE Castellazzo, realizzato da artisti del Collettivo FX sulle pareti del sottopasso ferroviario in prossimità del luogo del deragliamento. Il murale Memorie ruggenti, inaugurato il 4 maggio 2024, con una passeggiata guidata è un punto di interesse del sentiero CAI 610C della rete Reggio Emilia Città dei sentieri.

(foto Collettivo FX)

La storia delle belve africane in pianura padana
Alle 22,30 del 29 novembre 1945 il treno merci 9104, proveniente da Bologna e diretto a Parma «condotto [dal] macchinista Aldo Donato, entrato regolarmente binario morto cause imprecisate […] proseguiva corsa deragliando chilometro 53 tra Reggio e Rubiera». Gli abitanti di Villa Bagno vissero un’altra notte da incubo dopo la guerra; quel chilometro 53 – segnalato poi nei rapporti di polizia, carabinieri, prefetto e Ferrovie – distava qualche centinaio di metri dalla casa di sotto dalla ferrovia; quelle abitazioni sconvolte nove mesi prima dall’uccisione di Olinto e Alberto.
Il convoglio «trasportava anche carovana circo equestre Togni comprendente autocarri con gabbie leoni. Belve sbandavasi sbranando tre persone et ferendone altre 4 fra cui militare alleato di scorta treno».

Archivio Centrale dello Stato (ACS-TUC), Roma, telegrammi Ufficio Cifra al Gabinetto del ministro dell’Interno, anno 1945, vol.17, serie 17800 (nov.-dic.) il capitano dei Carabinieri Cotugno il 30 novembre 1945, ore 11:30
Il treno, quella notte, era stato dirottato su un binario morto per lasciare il passo ad una tradotta militare alleata, ma per un errore di comunicazione dalla centrale di Bologna o per il guasto di uno scambio, il convoglio proseguì la sua corsa fino a piombare in un cratere aperto sulla linea ferrata dai bombardamenti alleati.
Nello schianto perse la vita il fuochista, Ezio Chiarini, 25 anni, di Bologna; rimasero feriti alcuni passeggeri: Enrico Zenobi, 50 anni, di Milano, e componenti della compagnia circense, Maddalena Matera, il marito Alfredo Bailo, il domatore Umberto Bailo. Lo schianto divelse le gabbie degli animali: fuggirono nove leoni, diverse scimmie, alcuni cavalli, un boa. L’allarme venne dato in breve tempo.
Sul convoglio viaggiavano militari alleati britannici; da Rubiera arrivarono i carabinieri, da Reggio gli agenti della questura e i vigili del fuoco che trovarono, quasi subito, il corpo dilaniato di Marco Ferrari, 33 anni, aiuto domatore e guardiano degli animali.
Iniziò così la caccia ai leoni che, spaventati dallo schianto, avevano iniziato ad aggirarsi per i campi, avvicinandosi alle case.


Quattro vittime nel disastro di Bagno 1/12/1945 (part del fotomontaggio di prima pagina)
Pochi minuti dopo la disgrazia l’agricoltore Luigi Cigarini, che era in una casa vicina alla ferrovia, si apprestava a rincasare, e, trovando ostruito il passaggio a livello dai cavi, prendeva il sentiero che corre lungo la massicciata dei binari, per girare l’ostacolo. Dopo un centinaio di metri il disgraziato veniva aggredito da un leone che l’azzannava al capo uccidendolo (da «Reggio Democratica», cit.)
La storia di Luigi, che non aveva mai visto un leone neanche “in cartolina”
Luigi Cigarini, detto Gigìn – all’epoca dei fatti aveva compiuto da poco 49 anni (era nato a Scandiano l’8 agosto 1896). Era un contadino del prete, don Cirillo, il quale ne aveva particolare fiducia; gli affidava compiti importanti e anche rischiosi, come quello di accompagnarlo alla latitanza in montagna ogni volta che doveva sfuggire ai fascisti.
Nella casa di sotto della ferrovia Gigìn svolgeva anche le scomode veci del capofamiglia: il padre Ennio era vivo, ma aveva subìto l’amputazione delle gambe ed era inabile al ruolo (oltre che spesso alticcio), ancorché formalmente arbiter della tribù familiare.


A 19 anni Gigìn venne spedito sul fronte tridentino della Prima Guerra Mondiale. Servì nel Quarto reggimento di Artiglieria da Campagna dall’11 novembre 1915 al 18 dicembre 1919.
Tornò vivo, con una scheggia in una coscia, un premio di congedo di 280 lire, una Croce in bronzo al merito per le ferite riportate in battaglia, la medaglia in bronzo commemorativa della 1.a Armata, la medaglia-ricordo del reparto di appartenenza, il 6.o Gruppo Cannoni 105 (motto Sempre e Ovunque, sotto).



Tornato dalla guerra, Gigìn sposò una ragazza di Salvaterra, Concetta Ferroni, figlia di Angelo, carabiniere, e di Linda Mazzacani. Avranno cinque figli; i primi quattro uno appresso all’altro: Elda, Alfeo, Manfredo, Domenico e la più piccina, Linda che – nascendo il 22 maggio 1938 – consentì ai genitori di ricevere 100 lire, tra i premi previsti, durante il Ventennio per le coppie più prolifiche.



Luigi e Concetta giovani e la loro famiglia (1944 ca), Alfeo, Concetta, Domenico, Luigi, Linda, Elda, Alfeo
Dall’Eccidio di Villa Bagno – l’uccisione da parte dei fascisti di suo fratello più piccolo Olinto e di Alberto Branchetti – erano passati poco più di dieci mesi.
In quella notte di fine novembre, Gigìn, stava tornando a casa a piedi dopo una serata passata a giocare a carte dai vicini. Forse stava pensando a come quella tragedia aveva sconvolto la vita familiare. Poi arrivò l’artiglio.
La moglie Concetta, annichilita da una tragedia così impensabile oltre che improbabile, a chiunque vi si riferisse era solita commentare «Povèr Gigìn, ann’iva mai vést un leòun gnan in cartùleina», Povero Luigi, non aveva mai visto un leone, neppure in cartolina.
La testimonianza del figlio, dall’incubo della guerra alla tragedia dei leoni
Il ragazzino Domenico detto Bisìn, figlio di Luigi, durante l’assalto fatale al padre, dormiva. Avrebbe voluto andare al cinema parrocchiale, dove veniva proiettato un film di cappa e spada, Il cavaliere di Lagàrdere: «No, ti è appena passata la febbre, è meglio che stai riguardato ancora qualche giorno» furono le ultime parole che gli disse il padre prima di uscire.

La testimonianza di Domenico Cigarini, qui riportata, è stata registrata a Roma il 4 giugno 2013, fa parte del documentario di famiglia “I Cigarini” (55′, ottobre 2014) con la regia di Cristina Sammartano e le musiche de “Lassociazione” (Cavalli Cocchi, Cilloni, Galassi). Info Stefaniacigarini@yahoo.it
Raccontare quella notte lì, raccontare quella notte lì (pausa) è un po’ lunga (lunga pausa) Ci sono dei passaggi, ci sono dei passaggi (emozione) che non sono tanto belli. […] Mio padre era andato dai suoi amici, i Lumòun [Bigliardi], si trovavano sempre a giocare a carte, fino all’una, non venivamo mai a casa prima. Quella sera lì, alle dieci [mio padre] ha cominciato a dire «vado a casa, vado a casa». «Ma va là, dove vuoi andare! Sta qui» gli dicevano i suoi amici; ma non sono riusciti a tenerlo lì (ripetuto). Allora è venuto a casa, a piedi. Al passaggio a livello c’era Pietro Piccinini, perché il treno era deragliato, e il vagone dei leoni era sopra agli altri e si era rotto in due. Perché i leoni, nel vagone, erano dentro a delle gabbie imbullonate [al pavimento], però nel piegarsi così, il vagone, le gabbie si sono sbullonate e i leoni sono venuti fuori. Quando sono arrivati lì [al passaggio a livello, mio padre e Pietro Piccinini] era appena successo, si sentiva chiamare aiuto. Allora gli ha detto [mio padre a Piccinini] «Io non ho il coraggio di andare lì», e Piccini «Andiamo allora, a casa». Si sono avviati per il sentierino e dopo trenta metri c’era il leone lì (pausa). [Il leone] gli ha messo le mani [zampe] addosso, perché era graffiato qui (indica l’avambraccio destro) e gli aveva forato le vene qui del collo (indica e ripete). È morto in poco tempo, si è svenato [dissanguato].
Io ero a letto, è venuta su l’Elda [sorella maggiore del narrante] e mi ha detto «Alzati! Che hanno ucciso il papà». Io dormivo, mi sono messo a sedere sul letto e ho pensato di essermelo sognato, perché la guerra era finita, avevi l’incubo della guerra, ma la guerra era già finita. E mi sono sdraiato di nuovo. L’Elda è tornata su «Alzati! Cosa stai a dormire che hanno ucciso il papà». Io non capivo, ma mi sono alzato di spinta: «Ma come mai hanno ucciso il papà?», «[Perché] ci sono delle bestie grosse che hanno ucciso il papà». L’avevamo imparato [sapevamo della morte] perché Pietro Piccini [dopo l’aggressione] era corso a casa a chiamare i fratelli del papà […]. Sono partiti sin Nanèin e sin Gàlo [rispettivamente Ferdinando e Arturo, zii del narrante] uno con una grossa lanterna e l’altro con il forcone. Quando sono stati a metà dello stradello per la ferrovia hanno trovato il leone lì, e hanno fatto marcia indietro verso casa, perché il leone gli andava dietro, e si sono chiusi nella stalla. Hanno chiamato per dire di tenere chiusi gli usci, che c’erano dei leoni. Dov’erano questi leoni, chi li ha portati qui?! (esprime meraviglia). Dalla stalla dopo un’ora hanno provato ad aprire l’uscio; il leone era seduto lì, gli hanno dato un colpo con il forcone e se n’è andato, ma non hanno avuto il coraggio di uscire. Era via [fuori casa] anche Mingoùn [Alfeo, fratello maggiore del narrante], così abbiamo cominciato a pensare che anche lui … (commozione, sospeso).
Dopo, verso l’una [Alfeo] ha chiamato casa (pausa, forte commozione) e gli abbiamo detto, «Guarda se c’è il papà, guarda se c’è il papà» (pausa, forte commozione). Gli abbiamo detto «Guarda se c’è il papà», perché quando [Alfeo] è arrivato lì i carabinieri l’hanno tirato subito sopra il vagone. Gli abbiamo detto «Guarda se c’è il papà», ma non l’hanno fatto scendere. I carabinieri l’hanno portato a casa [Alfeo] verso le due, hanno domandato se c’era uno straccio e hanno cominciato a smontare le armi, i mitra, per asciugarli, sopra la tavola. Io ero appoggiato contro la finestra, che guardavo, la tavola era lì. Sento una spinta dietro, mi giro e c’era il leone lì (emozione), era davanti lì (emozione). Sono rimasto di pietra. Era lì che mi guardava, secondo me gli davo fastidio, guardava di qua e di là con la testa ed era sempre attaccato lì [alla grata della finestra]. [I carabinieri] hanno rimontato i mitra, avevano perso un po’ di tempo. Volevano che mi spostassi, ma io non li sentivo. Dicevano che mi chiamavano, ma io non li sentivo (emozione), ce l’avevo lì [il leone]. Dopo mi hanno preso e tirato da una parte e gli hanno sparato una raffica, ma lui [leone] era sempre lì. Allora gli ha sparato anche l’altro carabiniere, dopo si è lasciato andare, è scivolato, ha fatto un urlo ed è scivolato giù, che la mattina dopo era ancora lì. Io ho ancora fissa qui quella finestra, nella testa. Che ancora mi danno fastidio [i leoni].
Questo ricordo, in particolare, coincide drammaticamente con le cronache d’epoca:
Le altre belve intanto vagavano per proprio conto nei cortili delle case agricole dei pressi. Una di esse aperta la finestra della cucina di una cascina, con una zampata, si affacciava ruggendo e veniva freddata con una raffica di mitra da un carabiniere che si trovava all’interno
(da «Reggio Democratica», Quattro vittime nel disastro di Bagno 1/12/1945 e «La Nuova Stampa», Tragica fuga di 9 leoni per un incidente ferroviario 1/12/1945)
Una notte da prima pagina: fatti, misfatti e leggende
La notte dei leoni ebbe una quarta vittima, oltre a Gigìn, al fuochista Chiarini e all’aiuto domatore Ferrari, fu il contadino Ettore Degani, 58 anni, foto) sorpreso nella stalla all’alba e ucciso da una zampata che gli tranciò le giugulari. Accorso alle urla di terrore del morente il figlio Celso feriva con due colpi di rivoltella l’animale che un vigile sopraggiunto finiva del tutto a fucilate (da «Reggio Democratica», Quattro vittime cit.)

Altre persone fecero incontri sgraditi, ma non mortali: un leone aggredì il cane del contadino Angelo Chiossi e quindi l’uomo, che si salvò barricandosi in casa. L’ortolano Lelio Canalini fu assalito verso le 4,30 del mattino, all’altezza della farmacia, mentre stava andando al mercato a Reggio con il suo carretto (da «Il Giornale dell’Emilia», Le gesta di nove leoni 1/12/1945). Il leone si avventò prima sul cavallo, permettendo all’uomo di mettersi in salvo in una casa vicina, e consentì a tre improvvisati cacciatori, Paolo Colli (armato di pistola), Ulderico Bertocchi e Paride Prandi (armati di forconi), di uccidere l’animale. Vi furono anche incontri surreali:
Da un reparto del Manicomio, una ricoverata di S. Martino in Rio, riusciva a scappare e, strada facendo arrivava a Bagno, dove veniva raccolta dall’ambulanza della Croce Verde, accorsa per il trasporto dei feriti. La pazza, interrogata dall’autista il quale le aveva consigliato di ritirarsi perché c’era pericolo, diceva: «Li ho visti i leoni mangiavano un cavallo. Come urlavano! Ma sono buoni i leoni, sapete?». «Ma siete matta!» gridò allora il milite della Croce Verde. «Si abito al manicomio … – disse di rimando la donna – e sono fuggita». Vincendo la resistenza che la pazza opponeva, gli infermieri la facevano salire sull’autolettiga la riportavano al Frenocomio. (da «Reggio Democratica», Quattro vittime cit.)
Nelle ore successive al disastro ferroviario si scatenò una vera e propria battuta di caccia e per diverse ore non si conobbe il numero esatto dei leoni trasportati dal circo: «[…] forza pubblica riusciva finora abbattere sette belve mentre altre due pare siano rimaste uccise sotto rottami» telegrafò il questore Ripandelli il primo dicembre; mentre una segnalazione dei carabinieri, ma di due giorni successiva, stabilì che «[…] riuscirono a fuggire […] nove leoni. […] I Carabinieri, prontamente intervenuti, evitarono ulteriori gravi conseguenze, uccidendo tutte le belve» (ACS TUC, ibidem, il questore Ripandelli cit. e ACS MI Gabinetto, b. 181, cit.). L’incertezza delle prime ore fu sufficiente per alimentare, nei giorni successivi un allarme, rivelatosi falso, su un’ultima belva sfuggita alla cattura e avvistata nelle campagne di Salvaterra.
I leoni abbattuti, alla fine, furono nove, sette maschi e due femmine (da «Reggio Democratica», I leoni di Bagno, non ce ne sono più in giro 4/12/1945 e «Il Giornale dell’Emilia», Tutti i leoni sono stati uccisi 2/12/1945). Erano animali in ottime condizioni e attirarono immediatamente l’attenzione degli studiosi. Socrate Gambetti, intendente ai Civici Musei, li descrisse come magnifici esemplari di felis leo aethiopicus, originari della zona del basso Gasc etiope. Il professor Gambetti vide anche esemplari altrettanto belli di scimmie: un cercopiteco, un babbuino e un macaco. Chiese alla direzione del macello comunale, dove erano state portate sette delle nove carcasse (altre due a Modena) di salvarne i corpi per consentirne l’imbalsamazione e la collocazione nel Museo.
L’auspicio dell’Intendente non ebbe seguito, probabilmente a causa delle difficili condizioni economiche dell’epoca. Dei leoni di Villa Bagno il Museo conserva il cranio di una leonessa e la citazione, in calce all’inventario, dell’uccisore, Paolino [Paolo] Colli. Dei leoni conservati al Museo, tre sono trofei di caccia del barone Franchetti e fanno parte dell’omonima, ben documentata collezione; un’altra leonessa è già registrata nell’inventario generale della sezione naturalistica redatto ai primi del Novecento.


Nota originale nei registri d’epoca del Civici Musei di Reggio Emilia
Oltre ai leoni, per molte ore, venne cercato anche il macchinista Aldo Donati, supponendo che si fosse dato alla fuga credendosi responsabile del disastro. Miracolosamente illeso, e probabilmente sotto shock, si era invece poi presentato ai propri superiori (da «Reggio Democratica», Il macchinista cit. e «Il Giornale dell’Emilia», Il comportamento del macchinista non sarebbe criticabile (4/12/1945).
La Notte dei leoni, documentata dagli articoli di cronaca, venne poi esorcizzata con alcuni corsivi ironici e vignette («Reggio Democratica», Nonostante le bistecche di leone Geppe digerì dell’asino … e un pugno 2/12/1945 e («Reggio Democratica», 5/12/1945, Reggio città africana, firma Mowgli e vignetta Tacomia a cucèr?); con un colorato (e colorito) disegno de «L’Illustrazione d’Italia» (Un serraglio in libertà 16/12/1945), ma è tutt’ora presente nella storia e nella leggenda popolare di Villa Bagno e della provincia reggiana tanto da essere oggetto di indagini storiche (citiamo per esempio quelle di Arturo Borciani) e rievocazioni giornalistiche (come quella di Giorgio Boccolari per il periodico «Due Portici» di Rubiera, Bagno: nella notte paura e morte. C’erano i leoni, data imprecisata anni Ottanta).

78 anni dopo, la Memoria è in cammino: anche sui muri e in QR code
La vicenda del contadino Gigìn ucciso da un leone africano nel mezzo della pianura padana è diventata nota nel 2015, su Ricerche Storiche ISTORECO, a latere della storia dell’Eccidio di Villa Bagno.
La consegna ad una dimensione pubblica avviene però 78 anni dopo, nel 2023 quando I CARE Castellazzo, «gruppo informale di volontariato costituito tra i residenti» come lo definisce uno dei fondatori, Matteo Zanni dal profilo Facebook, capta oltre ai racconti frammentari, ma vivi sul territorio, anche i ricordi di Pino Zanni memoria storica della frazione reggiana e testimone di quella notte che visse da ragazzino.
«Ci consideriamo un gruppo di ecologia umana – spiega Raffaele Marmiroli, tra i volontari di I CARE Castellazzo insieme a Sara Bergamini, Chiara Predieri, Ave Sassi, la famiglia Zanni e molti altri residenti – pensiamo che il territorio sia lo specchio di come lo viviamo. Abbiamo iniziato a fare azioni di abbellimento e pulizia per arrivare a iniziative che coinvolgono territorio e persone».
Tra le prime, la creazione del Parco-frutteto su un pratone incolto ereditato dalla parrocchia, oggi piantumato (e i frutti delle piante sono a disposizione del pubblico), dotato di un focolare, di un proprio mini-giardino dei Giusti locali ed ormai punto di riferimento per gruppi di escursionisti.
Con I CARE Castellazzo e le memorie di Pino Zanni, la Notte dei Leoni debutta nella Notte dei Racconti (febbraio 2023) anticipazione al chiaro di luna del festival di primavera Reggionarra. Il materiale raccolto fino a quel momento sulla sfortunata vicenda del contadino Gigìn, cresce ancora fino a diventare la serata di Memorie ruggenti – il 4 dicembre 2023 – alla sala parrocchiale di Castellazzo – per condividere, tra residenti e curiosi, i ricordi sull’evento così lontano.
La narrazione diventa poi intergenerazionale; incrocia il collettivo FX, animato dall’artista Simone Ferrarini, e diventa il progetto di un murale di grande impatto visivo sulle pareti del sottopasso ferroviario di Castellazzo, a poche decine di metri da dove avvenne il deragliamento.


Le prime fasi di lavorazione del murale Memorie ruggenti: l’artista Simone Ferrarini (Collettivo FX) e la bozza di parte dell’opera (foto I CARE Castellazzo

Il murale, realizzato con il placet del Comune di Reggio Emilia, e in collaborazione con artista castellazzese Tommaso Fantini, è stato inaugurato il 4 maggio 2024 e rappresenta un nuovo punto di rilievo lungo il sentiero CAI 610 C (diramazione Castellazzo del sentiero 610 Reggio Emilia-Rubiera) insieme al Parco-frutteto, al castellotto estense che dà nome alla frazione, ai resti delle querce monumentali tutelate dalla Regione. Il percorso 610 C fa parte del sistema di sentieristica di pianura Reggio Emilia Città dei Sentieri (160 chilometri di piste ciclopedonali, sentieri, carraie) ed è indicato come Memorie ruggenti con una palina esplicativa in situ (coordinate Google maps 44°39’51.7″N 10°44’42.2″).
L’inaugurazione è avvenuta nel corso di una camminata aperta a tutti: «Ogni punto di interesse è stato raccontato da un testimone – dice Raffaele Marmiroli – io ho raccontato la Notte dei leoni, una vicenda non era parte del mio vissuto, ma ha preso contorni di realtà per me emozionanti. Il clima era festoso, ma è stato anche momento di commozione e riflessione».




L’inaugurazione del murale Memorie ruggenti il 4 maggio 2024 (foto I CARE Castellazzo)